giovedì 25 novembre 2010

A qualcuno piace "cavolo"


Essere soddisfanti o non essere soddisfatti. Ultimamente, mi sono ritrovato a mettere in discussione persino la semplice liceità del porsi questo pensiero.
Come se, il semplice fatto di vivere in un contesto in cui non facciamo la fame e non soffriamo la sete ed abbiamo persino qualche agio, ci espropri del diritto all'insoddisfazione rispetto alla nostra vita.

Rivendico il diritto all'insoddisfazione. E lo faccio per un solo motivo, perché per ora (e non credo che la cosa cambierà in futuro) sono certo di avere diritto a una sola vita e diventando più grande, avviandomi verso i trent'anni, mi rendo conto che ogni momento che ho vissuto è un momento andato, che non posso più riafferrare o recuperare.
A tutti sarà capitato di avere inviato una mail e di avere notato, solo successivamente all'invio, che all'interno del messaggio ci fosse qualcosa di migliorabile, di perfettibile o persino di sbagliato. Ecco, se l'insoddisfazione o frustrazione in quel caso può essere forte, immaginiamo nel caso in cui si parli di cose della nostra vita e non di un semplice messaggio di posta elettronica.

Io mi batto, quando posso, contro la fame del mondo e contro ogni ingiustizia, contro ogni discriminazione e contro ogni diseguaglianza.
Ma non è perché c'è la fame nel mondo o perché persone muoiono di fame che i miei problemi non hanno diritto di esistenza.
Ce l'hanno perché ogni vita è unica ed irripetibile ed ogni vita ha diritto ad avere una propria dimensione e riconsiderazione.
La logica dell'accontentarsi di quello che si ha e del fatto che porsi domande rispetto al fatto di essere o meno soddisfatti sia persino un vizio borghese mi fa incazzare profondamente e la trovo ipocrita. Io sono una libera mente pensante - talvolta sragionante, per carità... - e per questo motivo mi arrogo il diritto all'insoddisfazione.
Me lo arrogo ancora a maggior ragione poiché io di tutto sono figlio meno che del vizio borghese, poiché sono nato e cresciuto in un posto dove la borghesia non l'ho nemmeno incrociata. Poiché so cos'è la sofferenza, so da racconti diretti di familiari cosa sia la fame e l'essere esposti alle intemperie dell'inverno senza vestiti adeguati, perché so cos'è la morte e la malattia.
Tuttavia, non voglio e non intendo né ora né mai rinunciare alla poetica della sofferenza e dell'insoddisfazione. Non intendo privarmi di questo aspetto anche per qualche verso melodrammatico dell'esistenza.