giovedì 8 settembre 2011

Un misero obolo al monte della pietà dei giusti


In questi giorni in cui ho annullato me stesso per dedicarmi al lavoro e al volontariato tutte le sere fino a tardi, sento improvvisamente il bisogno di scrivere. Lo sento forse per fissare una sensazione. Mi capita molto spesso anche quando sono per strada e non ho null’altro per scrivere meno che il cellulare. E allora mi metto a digitare sullo scomodo tastierino delle piccole note che poi molto spesso non diventano nulla.
Il bisogno di scrivere nasce dalla necessità di fissare delle sensazioni.

Sento che sto entrando in una nuova fase della mia vita. Sento proprio che a questo rientro dalle vacanze, qualcosa si è modificato e sta per iniziare un nuovo corso. Mi è successo già molte volte in passato e ogni volta questa sensazione mi è passata addosso lasciandomi un segno. Non mi sono mai sbagliato: quando ho percepito questa sensazione, poi effettivamente c’è stato un cambio di corso.

Il primo e fatale viaggio verso Roma, solo e carico di valigie. Di notte.
Il trasloco da Via Carlo Alberto e dalla mia vita da adolescente. La laurea.
Il trasloco da Monteverde e l’inizio del nuovo corso lavorativo. La casa.
Il dirompente bisogno di rimettere al centro me stesso. Questo autunno incipiente.

Se voglio fissare questa sensazione dico che sono sul baratro della disillusione, Anzi no, forse non è la parola giusta. Non sono sul baratro della disillusione, sono sul limitare della lucida consapevolezza che non esiste nulla meno che la propria autosufficienza.
E mentre penso a questo vedo mia madre che a un migliaio di chilometri di distanza a quest’ora si muove fra le mura della casa di montagna, sta preparando il pranzo. Sola, autosufficiente da me, da sé, dal mondo che continua. Dal mio dolore degli affetti spezzati, in modo acerbo. In modo ingiusto.

Pochi giorni fa manifestavo tutto il mio disagio nel dire che non sono più disposto a dover comprendere le debolezze altrui quando nessuno cerca di capire le mie. NOn sono stato nemmeno degnato di considerazione: come se parlassi al vento. È proprio vero: i miei difetti vengono ampliati e sonorizzati, nessuno è disposto a fare sconti. E forse è giusto che sia così. E gli altri? Perché io devo per forza capire, accomodare i difetti e i limiti altrui?
Ho imboccato una strada tortuosa che mi porta verso la scarsa tolleranza e l’isolamento progressivo.
Me lo devo dire apertamente, non ho più voglia di continuare a comprendere per non essere compreso. A costo di dover pagare qualche ulteriore prezzo. Tanto… visto quello che succede in questo Paese in cui mi sono ritrovato a nascere, che cos’è quest’ulteriore prezzo? Un misero obolo al monte della pietà dei giusti.