venerdì 7 agosto 2009

Un nuovo capitolo

"Ho impacchettato tutto
e bruciato nel fuoco
e c'ho ballato intorno
ti sembra poco
e non ho fatto i conti
non voglio piu' sapere
se e' meglio dire
o fare per esistere
Non sento piu' le lacrime
scendono giu' le lacrime" (Nada, Guardami negli occhi)

"...someone help me find the pause button..." (Alanis Morissette, Tapes)


E' ora di prendermi una pausa. Devo riaprire un nuovo capitolo e, prima di fare quest'operazione decisiva e complicata, devo necessariamente prendermi una pausa.
Ho fatto tutto quello che dovevo, ho superato mille difficoltà, ho superato anche me stesso nella resistenza alla stanchezza e ai colpi mortali che le giornate, la quotidianità mi hanno assestato.

Camminavo nel nuovo quartiere. Non conosco i nomi di tutte le strade. E' quel momento della giornata in cui non si capisce bene se il giorno ha già ceduto stanco alla notte, oppure se la luce oppone resistenza alla notte perché vuole sopravvivere. Mi sento osservato.
Le strade sono quasi deserte. Solo in fondo sento un vociare. E' l'isola pedonale del Pigneto.
Degli abbaglianti mi inseguono e distraggono la vista che si confonde tra i muri del Mandrione e le luci rarefatte che inseguono il luccichio dei binari. Quanto vorrei essere su un treno... quanto vorrei essere un treno. Gli abbaglianti ritornano. Vedo due figure fugaci, scure, color ebano. Due ragazzi di colore scappano; sono inseguiti da una volante. Mi si stringe il cuore, voglio fare qualcosa, ma non posso. Rimango immobile e vedo che uno dei due lancia la busta che ha in mano e si butta giù da un ponte verso i binari. Mi giro, chiudo gli occhi. Non voglio vedere, non posso vedere.
I palazzi sono semi-vuoti. Dalle stradine delle case del Pigneto fuoriescono i vagiti di una vita ridotta al lumicino dall'indolenza estiva. Mi guardo attorno, respiro i profumi. Ascolto i rumori e i suoni. Da una finestra Pavarotti intona un'aria. Non ricordo più quale. Mi piace pensare che fosse un'aria della Carmen.
Mi sento seguito. C'è una strana presenza che mi guarda. Non so chi è, non so cos'è, non so cosa vuole da me. Sento occhi che mi scrutano.
Arrivo all'isola pedonale. Un sacco di gente, come sempre. Nessun volto noto. Penso di desiderare con forza una bicicletta. Voglio arrivare ovunque nel quartire con la bici e ora ho anche il parcheggio sicuro dove lasciarla. La gente gozzoviglia, sbevacchia, si corica a terra, fuma, chiacchiera, strilla. Crocchi di varia umanità si formano. Non mancano mai in quella zona i gruppi di pseudo-intellettualoidi dallo stile fallito/svampito. Li detesto. Mi giro e li guardo con un po' di disgusto.
Torno indietro. Sono stanco, ho camminato molto, voglio adesso farmi strada verso casa. Mi sento osservato. Troppo. Mi sento guardato nell'intimo, ho bisogno di capire.
Sono sul ponte della ferrovia. I treni che vanno e vengono da Fiumicino Aeroporto verso la Sabina e viceversa fanno su e giù. Mi fermo su questo ponte e penso.
Penso all'anno scorso quando proprio a quest'ora della sera la magia del mondo si è riversata e rappresa in in momento durato qualche minuto. Mi si è scolpito nella mente: passeggiavo sui tetti. Una fusione di anime, di anima e di sensazioni. Sono morte, non torneranno mai più. Celebro un funerale intimo e commosso. Arrivato a casa accenderò un incenso.
Mi fermo e mi appoggio ala rete. Guardo in basso i binari, non vedo nessuno. Guardo in alto.
La luna.
Cattiva, misteriosa, quasi piena. I suoi mari affondano nelle mie pupille e le sommergono di luce. Mi osserva, mi protegge, mi insegue.
Eccomi. Le faccio un largo sorriso e la ringrazio. Continuo a sorridere. Poi cammino.
Saluto il mondo e ricomincio a camminare da dove sono venuto.
Vado a casa.

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