venerdì 12 luglio 2013

Il rispetto

Nemmeno per il dolore.
Il rispetto è morto. Non è più un costume di questi tempi. L'ingordigia del rispetto indirizzato verso se stessi e la cupidigia di ego dalle dimensioni spropositate. L'anteporre l'io sempre e comunque a qualsiasi altra cosa, a qualsiasi altrui sofferenza o bisogno.
Il rispetto è morto. Non ci si cura nemmeno delle possibili sofferenze altrui, delle ricadute che una propria scelta o azione possa avere su qualcun altro. L'anteporre se stessi sempre e comunque, anche davanti a percorsi di sofferenze comuni.
E' morto il rispetto, e insieme ad esso è morta l'empatia. Quell'incapacità di immedesimarsi, fosse pure per un istante, nel malessere altrui e attraverso esso plasmare le proprie decisioni.

Il dato di fatto è che prima o poi ci si perde. E alcune perdite sono irrimediabili. Mi pongo il problema della sopravvivenza. Per rispetto nei confronti di chi ha perso per sempre, vorrei poter tacere e smettere di scrivere. Ma è questo scrivere che mi da' la forza di sopravvivere a questa assenza totale di rispetto e di empatia.
Le perdite irrimediabili, neanche di fronte a quelle c'è rispetto. Si cancella tutto con una spugnetta, come quella scritta faticosamente tracciata da un bambino in punta di piedi con un gessetto spuntato su una lavagna.
Cancellate pure. I miei ricordi rimangono. E come il peggiore degli incubi popoleranno le notti di chi ha fatto del rispetto una ghigliottina sporca di sangue.
Non pulitela, fate asciugare il sangue al sole. O fatelo lavare dalla pioggia. Meglio non sprecare stracci e sudori per lavare via la strafottenza di chi con sguardo cinico ha buttato giù la lama.

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