martedì 23 giugno 2009

"Ciarpame senza pudore"

Faccende di vite pubbliche e faccende di vita privata si intrecciano e si intersecano con un tempismo che quasi mi lascia senza fiato.
Lo sconquasso di squallore che agita i palazzi del centro romano in merito a festini e vicende varie non mi stupiscono più di tanto, non mi meravigliano e mi lasciano ormai piuttosto freddo. Che queste cose accadessero io almeno l'ho sempre pensato e non me ne meraviglio. D'altronde, e ho avuto modo di dirlo nel mio intervento a un convegno di oggi in CGIL, quello che sta in questo Governo non è altro che specchio della società italiana in cui la maggioranza dei cittadini sguazza.
Quello che invece non mi lascia immoto, ma che anzi mi fa montare una grande rabbia e un grande senso di frustrazione è "il ciarpame senza pudore" che circonda me in prima persona. Fanno ridere le giustificazioni del Berluska e le smentite, ma mi fa ancor più ribrezzo persino il solo tentativo di giustificarsi di gente che ho ben più che apprezzato per atti ignobili compiuti alle mie spalle in momenti di mia atroce sofferenza personale.
E lo dico con un profondo senso di rassegnazione. Che parola orrenda per uno come me. I miei amici mi guardano male quando lo dico, perché sanno bene le mie capacità di lottare, di impormi con veemenza a volte, di strepitare, di darmi da fare, di sacrificarmi... Ecco, di sacrificarmi per l'altro, appunto.
Un esercizio che risulta ai più un orpello artificiale nelle relazioni di amicizia, di affetto, di amore e persino familiari ormai. Stare a contatto con l'altro da sé comporta una certa misura di sacrificio, di inclinazione e propensione alla comprensione del limite altrui che io onestamente non riscontro ormai più. E allora sono passato per la lotta, per la battaglia a tutto campo, per il dolore atroce, per la frustrazione, per il senso di impotenza. E ora mi trovo a fare i conti con la rassegnazione. Davanti a tanto "ciarpame senza pudore" non si può che rimanere costernati... e rassegnati.
Ricordo ormai con una certa ironia un giorno in cui dissi, durante un discussione feroce con D., che la crisi dei sentimenti per gli altri non è ormai più questione fra individui, ma è sintomatica di una malessere sociale diffuso. La MIA infelicità, il MIO malessere. Ma che viene il dubbio che forse oltre il proprio naso, per quanto lungo possa essere, c'è un'altra persona di fronte? Mi pare quasi di no.
Quando ricondussi tutto il discorso a un malessere più profondo, di crisi dei valori e dello stare insieme, sapete come mi fu risposto? Con una grassa risata di scherno in faccia.
Bene. Anzi benissimo. Stasera ho avuto finalmente una notizia che mi ha riempito il cuore di gioia, una delle cose più belle che possano capitare nella vita. Sul tram, in preda al panico, col cellulare che mi fremeva in mano, mi sono chiesto con angoscia: e adesso a chi lo dico? Con chi la condivido questa cosa?
Sapete che c'è? Me la tengo per me.

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