giovedì 30 luglio 2009

La tirannia dell'effimero

"La nostra identità di persone, ieri faticosamente costruita su un progetto di vita, può essere oggi assemblata e disassemblata in modo intermittente e sempre nuovo, alla stregua di un pacchetto pay per view". Zygmunt Bauman

Mi sento come se fossi cresciuto di dieci anni in pochi giorni. E non intendo con questo che mi sento invecchiato fisicamente; no, mi sento cresciuto nel vero senso della parola. Questa settimana mi ha riservato veramente delle sorprese e questo potrebbe essere in qualche modo connesso al passo importante che sto per compiere.
Sono state giornate importanti per la mia vita e temo di averne ancora qualcuna davanti.
Sono venute alla luce delle questioni dirimenti per il mio futuro e anche per il mio passato, con cui ho ancora evidentemente qualche problema da affrontare.

Ne affronto almeno due.

Quattro impiegati di una banca furono sequestrati da due rapinatori. Una volta rilasciati, gli impiegati anziché criminalizzare il gesto, sono arrivati persino a difendere i rapinatori e a solidarizzare nei loro confronti. Una di loro, in particolare, dopo lil rapimento arrivò persino a intrattenere una relazione amorosa con uno dei due rapitori che continuò per molti anni dopo l'evento criminoso.
Ecco la mia malattia, finalmente l'ho identificata: la Sindrome di Stoccolma.
Mi sento perseguitato da una serie di eventi nefasti che condannano l'aria che respiro a essere velenosa e irrespirabile. Comprendo chi sono i colpevoli dell'inquinamento dell'aria che respiro e anche se faccio finta di averli eliminati dalla mia esistenza, in realtà, solidarizzo con loro.
Cerco di scavare più in profondità in questi baratri che si aprono, ma trovo solo strati di polvere che mi intossicano ancora di più. Richiudo quindi le botole che ho faticosamente aperto e mi arrendo, ansimante, a cascare sul suolo. Inerme.
Devo adesso capire chi è stato il mio sequestratore, emanciparmi dall'illusione che tali persone possano avere svolto un ruolo positivo nella mia vita e condannarle alla pena che meritano. La reclusione, la gattabuia in cui la dimenticanza diventa la miglior vendetta.
Non c'è niente di più crudele che cancellare un ricordo indelebile.

La seconda questione.
La introduco con una delle mie tante (ec)citazioni. "Ho corso sudando così tanto nella mia vita, alla ricerca affannosa di un traguardo e allo stesso tempo ho sempre trascurato la gioia di essere sempre incompleto."
Ho vissuto di corsa. Sono cresciuto in fretta, come un virgulto che costretto in una gabbia di cemento rompe l'asfalto con la forza delle radici. Ho rotto il cordone ombelicale ancora prima di uscire dall'utero di mia madre. Mi sono emancipato dai lacci familiari senza averne mai capito i limiti. Ho fatto finta di avere la forza di poter affrontare una vita da adulto, quando ancora non ero che un bambino. Mi sono illuso di poter sostenere carichi enormi, quando non sono che una formichina smarrita.
Ora devo fermarmi. Devo riflettere. Devo confrontarmi.
C'è stato un incontro in questi ultimi giorni della mia vita. Parafrasando il mio sogno/incubo perpetuo, ho trovato una terra sconosciuta che devo adesso pian piano esplorare e che mi intriga. Ci vorrà del tempo, questo lo so già; e me lo prenderò tutto questo tempo, frapponendo un lento lavoro di crescita e di analisi.

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